venerdì 5 ottobre 2012

Panopticon



Dopo avere visto Reality, il film di Matteo Garrone, leggo queste due belle recensioni su Gli Spietati (in particolare la seconda, di Marco Grosoli) che mi fanno venire una curiosità, allora scopro con colpevole ritardo quale fu il primo concept del Grande Fratello: una prigione.




Venne progettata da Jeremy Bentham, un filosofo illuminista inglese di cui Wikipedia parla abbastanza bene (diritti delle donne, depenalizzazione della sodomia, abolizione della schiavitù, ecc). Qui sotto un esempio concreto, che dovrebbe essere familiare a chi ha letto "Sorvegliare e punire" di Foucault:



Visto che invece io purtroppo non l'ho letto, rubo invece da Wikipedia:

"L'idea alla base del Panopticon (“che fa vedere tutto”) era quella che - grazie alla forma radiocentrica dell'edificio e ad opportuni accorgimenti architettonici e tecnologici - un unico guardiano potesse osservare (optikon) tutti (pan) i prigionieri in ogni momento, i quali non devono essere in grado di stabilire se sono osservati o meno, portando alla percezione da parte dei detenuti di un'invisibile onniscienza da parte del guardiano, che li avrebbe condotti ad osservare sempre la disciplina come se fossero osservati sempre. Dopo anni di questo trattamento, secondo Bentham, il retto comportamento "imposto" sarebbe entrato nella mente dei prigionieri come unico modo di comportarsi possibile modificando così indelebilmente il loro carattere. Lo stesso filosofo descrisse il panottico come "un nuovo modo per ottenere potere mentale sulla mente, in maniera e quantità mai vista prima."
Secondo Foucault "L'architettura del Panopticon sarebbe la figura di un potere che non si cala più sulla società dall'alto, ma la pervade da dentro e si costruisce in una serie di relazioni di potere multiple. Sotto il profilo delle relazioni di potere, attraverso l'invisibilità del controllo, il Panopticon si ricollega anche all'Anello di Gige e al Grande Fratello orwelliano."

il film di Garrone è ambizioso ma non perfetto, lunghe carrellate da grande regista (ma Garrone non ha il controllo sullo spazio che è solo dei grandissimi), qualche passaggio un po' debole, personaggi che restano macchiette. Ma ha molto gusto (il film visivamente è molto bello), non fa un cinema pariolicentrico (e già solo questo...), non è spocchioso, vuole bene ai suoi personaggi e si respira, soprattutto nel bel finale misticheggiante, una empatia che non scade mai nel paraculismo di un Virzì (la cena fighetta con sdoganamento heideggeriano del GF in "Tutta la vita davanti" era una cosa da prendere i forconi).

Soprattutto ha un paio di buone idee, che forse non sfrutta fino in fondo, ma ci sono. Il Grande Fratello oggi non è semplicemente un format televisivo di successo, piuttosto sta diventando il nostro nuovo modello sociale, in base al quale si sta riconfigurando tutta la nostra società (i matrimoni-spettacolo con fondali di cartapesta nella scena iniziale) e il delirio paranoide del protagonista è semplicemente la dimostrazione di come la reltà sia stata inglobata all'interno della surrealtà paradossale governata da questa sorta di overlook orwelliano. Al punto che, convintosi di essere spiato, il protagonista cercherà di regolare il suo comportamento sulla base di questa convinzione, dando ragione alle teorie di Bentham.

Anche i continui paragoni con la religione hanno un senso preciso: religione e Grande Fratello sono entrambi sistemi di controllo sociale percepiti dalle masse come onnipotenti, ma il primo centralizzato e verticale ("ricordati che Dio ti vede da lassù") il secondo invece diffuso e orizzontale: oggi chiunque può essere il tuo controllore ("la dittatura del mi piace", vero Akab?).
Garrone ci prova insomma a raccontarci qualcosa di dove siamo e dove stiamo andando, e se la cava meglio del più superficiale Social Network di Fincher-Sorkin. In fondo si ritorna sempre a Videodrome:

"è la televisione la realtà, e la realtà è meno della televisione".